Spinti dal bisogno di trovare risposte risolutive ai problemi più disparati, i genitori si ritrovano spesso stretti nella morsa del “senso di colpa”.
Come un veleno, si insinua nella mente e paralizza con pensieri e interrogativi ostili e dolorosi: “se mio figlio è ansioso è colpa mia”, “è colpa mia se è timido, impacciato o aggressivo”, e così via.
Come se non bastasse, il senso di colpa, può agire anche in un’altra forma: paralizza i genitori rendendoli impossibilitati a fare cose che pur desidererebbero:
“non posso lasciarlo dai nonni per andare in palestra, o andare dalla parrucchiera, mi sentirei troppo in colpa.”
Insomma, la dedizione, le attenzioni, gli sforzi, il cercare di fare il meglio come genitore, non è mai abbastanza,
c’è sempre un motivo per sentirsi in colpa.
Ma perché?
Il pensiero onnipotente di un genitore di voler preservare un figlio da ogni dolore o sofferenza associato all’idea altrettanto onnipotente di dover essere un genitore perfetto, innesca automaticamente la percezione che se qualcosa non va secondo i piani prestabiliti, o se il proprio stile genitoriale non corrisponde a quello immaginato, ci si sente in colpa e sbagliati.
Complice anche un’antica psicologia colpevolizzante, da terapeuti ci imbattiamo spesso in genitori dallo sguardo già ferito e dall’atteggiamento remissivo di chi ha già subìto giudizi e condanne da parenti ed amici. Genitori che giungono nella stanza del terapeuta pronti a farsi condannare nuovamente, ma questa volta da un esperto o al contrario a cercare di mettere in gioco le migliori strategie difensive per giustificare le loro colpe.
Se è vero che il senso di colpa nasce da una personale capacità autocritica e dal confronto che ogni genitore fa con il proprio “genitore ideale”, è pur vero che la nostra società è pronta a puntare il dito nei confronti di una certa genitorialità, contribuendo a rinforzare il senso di colpa del “genitore imperfetto”.
Di fronte a piccole o grandi situazioni difficili, un figlio ansioso, aggressivo, iperattivo o nei casi più tragici in cui un figlio si suicida, scatta il bisogno irrefrenabile dell’essere umano di trovare un colpevole e spesso la reazione più semplice è stabilire che i colpevoli siano i genitori, senza se e senza ma.
Una società così attenta ai bisogni dei figli, promotrice e sostenitrice di una genitorialità presente e consapevole, dovrebbe evitare di incorrere nell’errore di pensare che alimentare il senso di colpa, possa aiutare a diventare genitori migliori.
E’ vero, i genitori sbagliano, ma per questo sono colpevoli?
O forse sarebbe più utile parlare di genitori in difficoltà?
Così come non funziona educare i figli alimentando in essi il senso di colpa, allo stesso modo non funziona educare i genitori rinforzando il loro naturale senso di colpa, facendoli sentire sbagliati.
Compito della società dovrebbe essere educare ad accettare ciò che si è e ciò che si è capaci di fare, anche se lontani dall’immagine del proprio personale “genitore ideale”, promuovendo la capacità autoterapeutica di ognuno di migliorare e di cambiare.
Compito del terapeuta è aiutare il genitore a prendere consapevolezza delle connessioni del proprio stile genitoriale a quello dei propri genitori, ad essere consapevoli dei propri vissuti irrisolti, di come il proprio mondo interiore si incontra con quello del figlio, e di come non sempre questo incontro renda semplice e automatica la relazione genitore-figlio.
Se provassimo a immaginare quali effetti possa avere il senso di colpa nei genitori, impareremmo a stare più attenti a sparare sentenze superficiali dall’alto di una presunta saggezza universale.
Promuoviamo una genitorialità attenta e responsabile, non una genitorialità colpevole.
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