R. arriva al mio studio con l'andatura baldanzosa di chi, a 64 anni, non teme nulla, neanche la diagnosi di demenza frontotemporale che le è stata prospettata. Ci piacciamo subito, appare allegra, molto allegra, anche troppo. Insieme al figlio, inizia a raccontarmi di quando dimentica le compresse per il diabete o di quando le assume senza mangiare. Mi raccontano di quando è morto il marito, ma poi di cosa è morto non lo ricorda proprio, ma chi se ne importa. E mentre il figlio cerca di farglielo ricordare, il suo sguardo vaga alle mie spalle, gli occhi si muovono veloci seguendo qualcosa, come i gatti che cercano di acchiappare la luce rossa. Improvvisamente salta sulla sedia, urla e si sbraccia e ride, e racconta di un uccello gigante che è appena passato alle mie spalle fuori dalla finestra e ride senza freni. L'imbarazzo del figlio è tangibile, la rimprovera, le dice che non è il luogo giusto, che non può comportarsi così ma lei lo guarda furba, sorniona, quasi dispettosa e lo manda a quel paese a dispetto delle più semplici regole sociali…. Eppure sono certa che mentre io cercherò di rallentare la corsa di questa malattia senza redini, lei non lascerá che io torni a casa senza avermi donato la parte sana di quel poter dire e fare senza briglie…
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